Sigur Ros: il mondo è più divertente di quel che potresti credere | |
di: Fabio De Luca prima ora: FILOSOFIA Cominciamo dallinizio, dai fondamentali, dalla domanda delle domande, quella che "ognuno in cuor suo sogna di poter rivolgere loro" (come fossimo nel Total Request Live del paese dei Puffi) e che chiunque di qualsiasi radio o magazine a qualunque latitudine sta rivolgendo loro ad una media di tre/quattro volte al giorno, cinque giorni la settimana: per quale accidenti di ragione lalbum non ha un titolo "normale"? Di quelli che non ti costringono a fare domande idiote destinate a rimanere senza una risposta soddisfacente? Anzi: la vera domanda potrebbe essere in realtà unaltra, variante appena più fantasiosa della precedente. Quando hanno deciso di intitolare lalbum (), e ancor più semplicemente di non intitolare le otto tracce del disco, sapevano dellinferno cui si sarebbero condannati di lì a poco? Prevedevano che la soporifera internazionale della stampa musicale ci si sarebbe attaccata come il polpo ad uno scoglio? Immaginavano che non li avrebbero più fatti vivere? Che ad ogni nuova phoner o FTF ci sarebbe sempre stata la faccina sorridente di un Lester Bangs in sedicesimi pronto a schernirsi con un "so che ve lo stanno chiedendo tutti ma, capite, nemmeno io posso esimermi dal chiedervelo"? Kjartan Sveinsjon, tastierista ventiquattrenne, giocherellando con un cestino di "fragole tedesche" rubato il giorno prima in occasione di unaltra session promozionale in Germania, casca letteralmente dal pero. "No, davvero. Ce ne siamo resi conto soltanto alla terza o alla quarta intervista. Alla quinta ci siamo detti che forse, tutto sommato, mettere dei titoli sarebbe stata unidea migliore... Nooo, sto scherzando! La storia dei titoli è ok: desideravamo che attorno alla musica ci fosse più spazio e meno distrazioni possibile. La stessa grafica del libretto di copertina ha grandi spazi vuoti, bianchi...". Spazi che lascoltatore è inviato a riempire "in proprio"? "Non sono fatti apposta per quello, ma ovviamente si: se chi ascolta è stimolato a "rispondere" in qualunque modo, scrivendo la propria versione delle liriche, facendo un disegno o qualsiasi altra cosa, saremo felici di vederlo! Sul sito succede già qualcosa di simile con i testi: ed è molto buffo, perchè persone di lingua e cultura diversa - ad esempio giapponesi e americani e italiani - tendono a tradurre in "parole" e ad interpretare in maniera radicalmente diversa i suoni che costruiscono le nostre liriche!". Laltro Sigur Ros toccatoci in sorte, Orrj Pall, batterista, persino più magrolino e sconcertato del socio Kjartan di dover discutere questioni la cui rilevanza - per loro - sembra prossima allo zero, tace e acconsente. E Kjartan, di nuovo, a riprendere la parola, richiesto di commentare una dichiarazione del chitarrista Georg secondo cui "non cè alcuna ragione per dare dei titoli alle canzoni" (secondo quanto riportato da www.pitchfork.com). "Quello che voleva dire, credo" ragiona Kjartan, "è che non ha senso dare dei titoli alle canzoni di un album solo perchè cè la convenzione che le canzoni su un album debbano avere dei titoli, perchè si è sempre fatto così. Tutto inizia dal fatto che i nostri brani non hanno dei testi veri e propri, o per lo meno che non ci siamo mai preoccupati di trascriverli: quindi è come se avessimo detto: "bene, non abbiamo testi da stampare sulla copertina del disco: vogliamo provare a non avere nemmeno i titoli?"". Ok, ma come la mettiamo con il fatto che - allatto pratico - per chi ascolterà il disco le tracce non faranno altro che diventare "la uno", "la tre", "la sette" etc. Tanto non-lavoro per nulla? "Beh", taglia la testa al toro Orrj in uno dei rari momenti di (misurata) loquacità dellincontro: "questo va bene: quello che non volevamo era che ci fossero per forza dei titoli da poter mettere in relazione con la singola canzone, che potessero suggerire... delle interpretazioni. I numeri sono ok". seconda ora: EDUCAZIONE CIVICA Kjartan: Molti ci prendono in maniera tremendamente seria, ad esempio sulla questione dei testi "che non si capiscono", ma noi siamo anche estremamente ironici: molte cose che facciamo le facciamo solo per divertimento, per vedere leffetto che fanno! Anche quando leggiamo le interpretazioni che danno dei nostri testi, certe volte siamo increduli per la profondità che viene fuori, altre ci pieghiamo in due dal ridere! Certo che non assomigliate per nulla alla vostra musica: uno ascolta i vostri dischi e si fa unidea totalmente diversa. Abitualmente non si pensa ai Sigur Ros come una band che ha il divertimento come una priorità... Kjartan: Vuoi dire che i nostri dischi sono depressivi? Sono "depressivi" nel senso che facilitano lincanalarsi dei sentimenti depressivi di chi ascolta in una dimensione - mi vien da dire - "collettiva", condivisa. Non vorrei farvi sentire come una sorta di servizio sanitario nazionale, ma elaborare la depressione - specie nella fase adolescente - è un passaggio importante, e forse ascoltare i vostri dischi e vedervi dal vivo aiuta molte persone a entrare in contatto in modo positivo con la parte oscura di sé... Kjartan: Mmmh, molta gente ci ha detto che i nostri testi funzionano come una specie di test psicologico, nel senso che essendo per la maggior parte dei puri suoni ciò che ci leggi è alla fine soprattutto "ciò che sei"... Ma anche questo non è un effetto ricercato: ci affascinano certi suoni, troviamo che cantare in quel modo sia straordinario, e troviamo interessante che ci siano persone interessate a cercare di dare uninterpretazione personale a tutto ciò, ma non è quello il punto di partenza del nostro lavoro! Non siete deliberatamente "oscuri", dunque. Tutta loperazione di apparente "opacità" che vi circonda non risponde a una strategia per creare oscurità attorno al vostro lavoro... Kjartan: No, siamo solo... a little bit insane, un po folli! In parte folli e in parte scemi... Ma anche estrememente seri per quanto concerne il nostro lavoro, e curiosi: curiosi nel senso di ricercare sempre qualcosa di nuovo, qualcosa che non conosciamo o che non abbiamo ancora sperimentato, ma con molta spontaneità, senza progettare troppo, un po come degli scienziati pazzi... Qualche interpretazione da parte dei fans che vi ha sconvolto? Kjartan: Proprio laltro giorno cera questa mail di un tale che ha sentito alcuni dei pezzi del nuovo disco nelle versioni live che circolano in rete, e diceva che ha ascoltato con attenzione i testi e si rallegrava del fatto che avessimo anche noi sposato la causa di questa religione che lui definiva "i figli di Ceylon"... Ovviamente non avevamo idea di cosa parlasse, ma poi abbiamo scoperto che questo tizio aveva scritto un libro appunto sui "figli di Ceylon", e dunque non aveva fatto altro che leggere nei nostri pezzi quello che più di ogni altra cosa avrebbe voluto leggerci... terza ora: GEOGRAFIA quarta ora: EDUCAZIONE MUSICALE Kjartan: Ce lhanno detto. Non conoscevo i Cocteau Twins. E adesso che li hai sentiti? Kjartan: Ehm, a dire il vero non li ho sentiti... Fammi capire: non ti è mi venuta la curiosità di ascoltare un gruppo a cui praticamente tutti vi paragonano?!? Kjartan: Non è che non mi sia mai venuta la curiosità: non è mai successo. Probabilmente in futuro succederà. Il che, tradotto dallHopelandic, suona più o meno come "pippe da critico musicale". A questo punto meglio soprassedere, e scordarsi di chieder conto della similitudine (che pure cè, è lì, e invoca giustizia) tra "la traccia numero quattro" ed Atmosphere dei Joy Division. Per non dire di quellaltra cosa che ci gira in testa da quando abbiamo sentito () la prima volta: che proprio le percussioni, grandi e roboanti - la vera novità di questo nuovo album - segnino una bizzarra continuità con il lavoro lasciato a metà dai Cocteau Twins una dozzina di anni fa, e che forse questa è la dimostrazione (empirica) di come in tempi diversi sensibilità simili arrivino ad elaborare simili linguaggi originali per raccontare la propria affollata interiorità. Radiohead anyone? "Non cè nessuno cui ci rifacciamo" è sempre Kjartan a parlare "ci sono molti artisti che ci piacciono: siamo molto aperti e i nostri preferiti sono soprattutto quelli che esplorano zone poco frequentate della musica, ma nessun idolo". E quando eravate ragazzini? "Oh, da ragazzino, a cinque o sei anni, avevo il poster di David Bowie nella mia stanza" ricorda Kjartan. "Oltre a quello di Elton John" aggiunge Orrj. RICREAZIONE In ogni caso: state conservando tutti i take preliminari delle registrazioni di studio, vero? Vi torneranno utili quando sarete famosi come i Velvet Underground, e sarà il momento di tirare fuori il fatidico "cofanetto" degli outtakes... Kjartan: Tra quanti anni? 25? Beh, non riesco nemmeno a figurarmeli, venticinque anni. Sarebbe già ok arrivare a fare un prossimo disco... Eppure ne è pieno il mondo - ne conosciamo una mezza dozzina solo qui a Rumore - di persone che smanierebbero di poter essere assunte (anche part-time) dallimpresa di pulizie che nottetempo ha libero accesso al sancta sanctorum della piscina dei Sigur Ros ed allarchivio dei loro nastri "perduti". "Ti rivelerò un segreto" conclude Kjartan: "non faremo mai uscire i nostri outtakes. Siamo dei pessimi musicisti: i nastri di prova sono qualcosa di... imbarazzante!". Un impercettibile sbrilluccichio negli occhi del tastierista degli austeri Sigur Ros mentre si sporge in avanti a prendere la centesima fragola. "Per questa ragione, e solo per questa ragione, le cose che suoniamo sono così lente...". (da: Rumore, ottobre 2002) SIGUR ROS: 14 ottobre 2002. Rolling Stone, Milano Potere dellimmobilità: nulla sembra muoversi, nemmeno laria, lungo tutta la prima mezzora di concerto dei Sigur Ros. Come un anno e mezzo fa al Ciak, sempre a Milano, ma senza le candele e - stavolta - con un pubblico almeno tre volte più numeroso. Giovanissimi e casual, concentrati fin quasi a incrinare la calma perfetta dei loro visi angelici, i Sigur Ros riempiono con educazione e discrezione ogni singolo spazio vuoto attorno a sé. In platea faccine estatiche, un po rapite e un posconsolate, come emoticons imbronciati (due punti/linea/aperta parentesi). La tentazione è di guardarli ed ascoltarli come se tutto ciò che si vede e si ascolta fosse in realtà "qualcosa che non esiste". Ma non è così: non è semplice evasione, e se di mondi immaginari vogliamo parlare qui allora ce nè uno completamente nuovo e creato da zero. Una Terra di Mezzo dove i suoni sono così lenti e dilatati da rendere significativi anche i silenzi: un crescendo di rarefazione e tensione che più che scaldare e coinvolgere tramortisce e intimorisce. Molto fa la voce fragile ed eterea del giovanissimo Jor Thor Birgisson, capace di cantare per ore ad occhi chiusi, immerso nel suo privatissimo mondo fantasy insieme alla prevedibile parata di elfi, gnomi, hobbits ed emù - ma anche, sullo sfondo, volti di splendidi bambini nordici avvolti da paesaggi metropolitani sgranati come in super-8. E cè poi unaltra cosa in cui gli otto (quattro Sigur Ros + quattro "Amina Strings", la sezione darchi femminile ospite) sono bravissimi: sovrapporre strato su strato di suoni e languori mano a mano che il concerto va avanti, progredendo - senza che quasi nessuno riesca a rendersene completamente conto - dalle astrazioni desertiche dellinizio fino al muro-di-rumore di metà concerto. Vero rumore. Per il pubblico una sorta di imprevisto risveglio dalla trance, seguito di lì a poco dal lungo liberatorio applauso per la magistrale versione del loro unico pezzo assimilabile ad una "hit" (quello del video con i bambini che si baciano e giocano a calcio). Alla fine tutti felici e tutti contenti. Magia di questi strani islandesi: trasformare gli emoticons imbronciati in emoticons sorridenti (due punti/linea/chiusa parentesi). Poi, tutti a casa a dormire, sicuri - almeno per una notte - di sognare fate e folletti. E nelle orecchie, fino a mattina, un solo inspiegabile richiamo: ciiuiiiii... (da: Rumore, novembre 2002) |
|