Massive Attack: 3D, cuore di tenebra
 

di: Fabio De Luca




"Ehi, sapete se c’è un parco da queste parti? Dovrebbe essercene uno qui di fronte, l’ho visto prima. A che ora è la prossima intervista? Posso scomparire per un’ora?". Londra, un paio di giorni prima dello scorso Natale. La persona che esce come un furetto da una stanza al quinto piano dell’ennesimo omaggio al neoclassicismo alberghiero di lusso - il Mandarine Oriental Hotel a Knightsbridge - è 3D, l’ultimo Massive Attack sopravvissuto dopo che uno (Mushroom) se n’è andato per divergenze difficili da ricostruire, e l’altro (Daddy G) si è preso un semestre sabbatico successivo alla nascita del suo primo figlio. In sintesi: al momento attuale i Massive Attack sono il solo 3D. Che in questo preciso istante sta cercando un parco dentro il quale mettere in fila uno dopo l’altro i suoi quarantacinque minuti quotidiani di corsa, e di conseguenza una scusa per spostare di un’ora in avanti le interviste che ancora gli rimangono per il pomeriggio.
Rassicuranti cameriere di mezza età trascinano grossi aspirapolvere lungo silenziosi corridoi di moquette, mentre altre controllano che la sabbia nei portacenere fuori dagli ascensori sia sempre pulita e - soprattutto - sagomata secondo il logo a conchiglia dell’Oriental Hotel (hanno delle meravigliose formine che servono apposta per rimetterla "a design"). Questo giusto per dirvi lo scenario nel quale il furetto 3D tenta di parlamentare con i responsabili della sua casa discografica inglese e strappare loro un’ora di ricreazione dallo strapalloso tran tran promozionale. Finchè, alla fine del corridoio, i nostri sguardi non si incrociano. "Ehi, ma noi ci conosciamo...". Si, in effetti ci "conosciamo", da un paio di situazioni promozionali ufficiali negli anni passati, e soprattutto da un bizzarro pomeriggio di fine estate, cinque anni fa, a Capri. In quell’occasione, complice un amico di amici in comune, fuori da qualunque obbligo di routine parlammo di cose leggere e senza importanza: soprattutto, di quale fossero le storie migliori dell’epoca d’oro dell’Uomo Ragno. 3D disse una cosa di quelle difficili da scordare: "La mia storia preferita di sempre è quella in cui Goblin uccide Gwen Stacey: credo di aver pianto, da bambino, quando l’ho letta". Quando si dice: cerca il bambino e troverai l’uomo...
"Sei qui per intervistarmi?", incalza 3D. Beh, in effetti... "Aspettami, ci metto un minuto" promette: "devo capire una cosa con una persona, torno subito". Ok, perso. Sarà già da qualche parte lì fuori, alla ricerca del suo parco. Tanto vale sedersi e tirare fuori gli appunti, e magari (tra una mezz’oretta) prendere in considerazione l’ipotesi di scendere in strada e raggiungere quel caffé subito fuori sulla sinstra, dietro l’angolo, per mangiare qualcosa. Invece 3D torna veramente dopo un minuto. Sembra sia riuscito a far raggiungere telefonicamente gli ultimi due giornalisti attesi per il pomeriggio, ed a farli ritardare di un’ora. Il che vuol dire che adesso tra 3D e il suo jogging quotidiano c’è soltanto questa cover-story di Rumore: la qual cosa - se ci pensate - ha da qualche parte qualcosa di profondamente umoristico. "Hai quarantacinque minuti per chiedermi tutto quello che vuoi" scherza 3D. Beh, tanto per cominciare: il film di Spiderman l’hai visto, no?!?

1. Abbastanza incredibilmente, invece, la risposta è "no". "Guarda... so che è pazzesco, ma non l’ho ancora visto! Quando è uscito eravamo in pieno missaggio dell’album, e io avrò provato ad andare al cinema almeno una decina di volte, ma ogni volta arrivavo troppo tardi, quando il film era già iniziato... Essendo un fan ho seguito tutte le fasi del pre-release, certo, ho scaricato i trailer da internet appena sono stati disponibili... Alla fine mi sono comperato il Dvd appena è uscito, ma non l’ho ancora guardato: lo tengo per il pomeriggio del giorno di Natale...". Pochi giorni ancora alla rivelazione, allora. "...Anche se adesso quello che voglio davvero vedere è The Hulk diretto da Ang Lee. E poi c’è Daredevil! Di Daredevil ho avuto parte dello script ed alcuni storyboard: in realtà ci avevano chiesto di scrivere alcune musiche per il film, ma la richiesta è arrivata in un momento in cui eravamo veramente troppo impegnati con il nuovo album. E poi... non so, magari mi sbaglio, ma ho come la sensazione che Daredevil uscirà troppo vicino a Spiderman per riuscire ad avere veramente un suo spazio... Forse faremo qualcosa per il sequel di Matrix, Matrix Reloaded. Ma non l’intera colonna sonora, solo alcune tracce". In effetti - abbastanza stranamennte per uno dei gruppi che ha di fatto rifondato la nozione stessa di musica "cinematica" - i Massive Attack non hanno mai curato una colonna sonora da cima a fondo. Partecipazioni molte (ultima della serie la superba I Against I per Blade 2, da cui un anno fa è partita la "rinascita" pubblica dei Massive Attack), ma nessun progetto di più ampio respiro. "No, non è mai successo" ammette 3D: "so che è strano, ma da un lato le cose che ci sono state offerte non sono mai state - secondo me - quelle giuste, dall’altro c’è sempre stato una sorta di fraintendimento tra noi e l’industria, una sorta di opinione comune sul fatto che lavorare con noi fosse rischioso perchè eravamo artisti dai tempi lunghi che spesso non consegnavano il lavoro finito in tempo". Beh, cinque anni per un nuovo album e in mezzo il nulla... "Non è solo quello: nel cinema a quanto pare la velocità di esecuzione è la prima cosa che ti viene richiesta, loro devono poterti fare delle richieste all’ultimo minuto e tu devi essere in grado di consegnare tutto il mattino dopo! David Holmes è uno a cui questo riesce bene, ma perchè lui è un dj, e anche quando compone musica o lavora ad una colonna sonora lo fa "da dj". Cioè riesce a darsi un focus, a vedere l’obiettivo finale anche mentre è in mezzo alla lavorazione. E poi ha un gusto straordinario nello scegliere la musica "giusta" per ogni occasione: è capace di spaziare tra classici e cose nuovissime, ed è anche da questo che si vede quanto sia profondamente un dj nel senso migliore e più ampio del termine".

David Holmes è dunque il dj preferito di 3D, insieme ovviamente a James Lavelle, suo fratellino di sangue da tempo immemorabile. Li accomuna un’inesauribile passione per la New York "old-skool" dei graffiti e del primo hip-hop, dei block-parties e delle gallerie d’arte di strada. Nella sua identità segreta di spray-can artist 3D ha anche realizzato le copertine dei seminali volumi uno e due della raccolta Headz, prima zampata dell’etichetta di Lavelle - la Mò Wax - oltre che asilo nido di tutta quell’elettronica figlia dell’hip-hop più dilatato e psichedelco più tardi definita "trip-hop". Già, il "trip-hop": qualcuno si ricorda la famosa "scena di Bristol"? Quando bastò sommare algebricamente Massive Attack + Tricky + Portishead per tentare di inventarsi una nuova Londra o una nuova Liverpool? 3D se ne ricorda fin troppo bene, anche se "l’unica "scena di Bristol" degna di tale nome era quella di quando avevo vent’anni", aggiunge, cioè l’epoca del Wild Bunch il collettivo/sound-system aperto di dj, graffitari ed MCs da cui è nato tutto (inclusi i londinesi Soul II Soul). Se volete risalire alle radici dei Massive Attack vi può essere d’aiuto una splendida compilation appena uscita (The Wild Bunch: Story Of A Sound System, Strut) dove il mood dell’epoca è ricostruito attraverso suoni, foto e dichiarazioni di chi c’era. Anche 3D è stato interpellato, e quando ha visto le foto del libriccino illustrativo si è pure imbarazzato, "come credo chiunque si sia riconosciuto in quelle foto di quasi vent’anni fa!", dice. Il confronto con la Bristol di oggi è spietato, e non solo a causa della nostalgia canaglia. "Bristol oggi è per metà una città di studenti" dice 3D, che ancora ci abita: "70.000 sono fuori sede che vivono in una Bristol irreale fatta di bar e camere in affitto. In più quelli che vanno a studiare a Bristol sono di fatto gli scarti di Oxford e Cambridge, e si portano dentro questa puzza al naso congenita, questa attitudine a sentirsi una sorta di esseri superiori. Hanno un sacco di soldi, ma nessuna dignità".


2. Ed eccoci al disco. Uscito a cinque anni esatti da Mezzanine, come il suo predecessore 100th Window mostra un suono unico e personale che è di nuovo un altro passo avanti nella ormai lunga storia dei Massive Attack. Come già in passato le fonti d’ispirazioni sono (si intuisce) molteplici, ma assolutamente inidentificabili, come se il suono dei Massive Attack fosse sempre un po’ più avanti - nel processo digestivo - rispetto a quello di chiunque altro. Il suono dei Massive Attack ha in questo momento "senso" già di per sé, anche da solo, anche slegato dalla ormai nota formula (ritmi trattati al cloroformio, ondate di psichedelia e voci indolenti ma cariche di soul). E ciò che affascina è la sua oceanica profondità - ascoltate Everywhen, con la voce di Horace Andy - profondità che è facile confondere per semplice oscurità o oscurantismo (perchè 100th Window è ANCHE un disco visceralmente dark) mentre si tratta principalmente di una raffinatissima, avanzatissima capacità di introspezione, operata con un linguaggio diverso dalle parole...

Confrontato con Mezzanine, 100th Window sembra ancora più profondo, anche se non necessariamente più scuro...

3D: No, non è per nulla più scuro di Mezzanine. Anzi, più lo ascolto e più mi convinco che 100th Window non è per nulla un disco "oscuro". Mezzanine è stato un disco strano, nel senso che soltanto un paio delle sue tracce sono realmente "interessanti": le altre sono una semplice... testimonianza del processo che ha condotto alla stesura delle tracce realmente interessanti. Mezzanine è un disco che ha risentito in maniera molto pesante della divergenza di opinioni tra me e Mushroom su quale dovesse essere la direzione lungo la quale si evolveva il suono dei Massive Attack. Io ero convinto che ci dovessimo allontanare decisamente dal suono e dalla formula di Protection, Mushroom sosteneva invece che quella era esattamente la strada da seguire. L’album risente di questa divisione: non voglio dire che sia un brutto disco o un disco di cui non sono soddisfatto, assolutamente: è un grande disco in termini di idee e di suono, ma è anche un disco in cui le canzoni non sono profonde come potrebbero essere. Molte sono state chiuse più per arrivare ad un compromesso che altro, mentre c’erano ulteriori livelli da esplorare che non sono stati approfonditi perchè il grosso delle energie se ne andava in questa quotidiana battaglia su quale dovesse essere la direzione nella quale si muovevano i Massive Attack. Il nuovo disco invece... probabilmente il nuovo disco è iniziato soltanto a gennaio di quest’anno [si parla del 2002, ndr]. Detto molto onestamente, per due anni ciò che abbiamo è stato sprecare un sacco di tempo registrando molta, molta, ma veramente MOLTA musica di cui poi non abbiamo fatto nulla.

Ho letto da qualche parte che ad un certo punto avevate in pratica un intero album pronto, registrato insieme ai Lupine Howl [band psycho-elettro-rock nata da ex-membri degli Spiritualized, ndr]...

3D: Si, avevamo ore ed ore di registrazioni realizzate insieme a loro. Il problema era molto semplice ed estremamente complesso al tempo stesso: ci trovavamo in studio con loro, iniziavamo a improvvisare, ciò che improvvisavamo dal vivo era meraviglioso ma per qualche ragione non riusciva mai a trasformarsi in qualcosa di altrettanto interessante quando iniziavamo a registrarlo...

In che senso?

3D: Funzionava... come posso dire? funzionava come un "tutto", mentre improvvisavamo, ma quando iniziavamo a decostruire quello che avevamo improvvisato live, a dividere i singoli elementi, era come se la magia andasse distrutta, e ci ritrovavamo con dei singoli pezzi di canzoni che non si incastravano più l’uno nell’altro. La cosa peggiore è quando, dopo qualche mese, ti rendi conto che forse non ne uscirai mai... e allora cominci a dire "ok, forse è il caso di cambiare qualcosa". Così a gennaio ci siamo trovati a ricominciare da zero, tenendo appena un paio di spunti tra quelli elaborati nei due anni passati. E a questo punto tutto si è svolto molto velocemente, in sei mesi avevamo praticamente il disco pronto. Non saprei dire cos’è cambiato: sicuramente è cambiato lo stato d’animo, come ci sentivamo in sala di registrazione: in pratica eravamo io e Neil Davidge da soli - Neil è stato una sorta di co-produttore dell’album - ed abbiamo cominciato a divertirci, ad andare volentieri in studio la mattina...

Pensi che tutto il lavoro e le registrazioni fatte nei due anni precedenti siano comunque in qualche modo "servite" per arrivare al punto da cui poi siete ripartiti, che siano cioè state parte di un più ampio processo che è quello che ha poi portato a 100th Window?

3D: Si, adesso posso dire di si. Ma alla fine di quei due anni ero veramente inferocito con me stesso per non riuscire ad arrivare ad un punto, perchè mi rendevo conto che il concept era buono - prendere dei piccoli loop di suono e costruire con quelli dei mantra psichedelici - ma che al tempo stesso stavamo diventando qualcosa di diverso, una band che non erano più i Massive Attack... Il grosso limite degli ultimi due dischi è che erano costruiti su idee molto piccole espanse all’infinito, mentre quello che volevo dal nuovo era partire da idee e suoni molto grandi per poi, progressivamente, ridurre e semplificare. Per due anni, fino allo scorso gennaio, non sono riuscito a raggiungere ciò che volevo. Ora, se lo ascolti, ti accorgerai che 100th Window è un disco molto semplice, dove gli strumenti sono stati aggiunti uno per volta e le parti vocali non hanno niente di sovraprodotto, in molti casi abbiamo usato le stesse registrazioni realizzate per le session dei due anni passati, proprio per sveltire il processo, per rimanere il più possibile semplici e "istantanei".

Una delle cose che aveva maggiormente colpito in Mezzanine era il fatto che aveste campionato gruppi come i Cure o i Velvet Underground - il che è strano, perchè si tende comunque sempre a considerare il campionamento come qualcosa che attinge alla tradizione della black music più che del rock o della new-wave...

3D: E’ stata una fase anche quella. Nel nuovo disco non ci sono campionamenti, soltanto loop costruiti su suoni che noi stessi abbiamo creato. Questo in realtà è legato al fatto che Daddy G da un certo punto in avanti della lavorazione è stato molto meno presente perchè gli è nato un bambino - il suo primo figlio! - ed essendo fondamentalmente lui il "dj" dei Massive Attack, era lui ad arrivare con idee per campionamenti, era lui che spingeva per la classica struttura costruita su loop e campionamenti che ha contraddistinto molti pezzi dei Massive Attack. Da parte mia, consideravo una priorità allontanare i Massive Attack da quello stereotipo. La tecnologia dei campionamenti, dopo che l’hai portata avanti per un paio di album... basta, non puoi più farci nulla di originale. Puoi ancora avere delle buone idee, certo, ma se rimani legato a quello standard sei destinato a non evolvere il tuo suono.

C’entra il desiderio di creare qualcosa che sia "completamente" tuo? E’ strano, perchè proprio ascoltando 100th Window stavo pensando che adesso i Massive Attack sono nella posizione di essere una band profondamente "centrale" nella storia della musica, una band sullo stesso piano dei Velvet Underground ad esempio. E questo - forse - implica anche il fatto di generare dei suoni che siano al 100% "tuoi"...

3D: Usare loops e campionamenti è una cosa fantastica che sicuramente useremo ancora in futuro, e chi è veramente bravo ad usarli riesce a creare qualcosa di unico anche rielaborando musica di altri... Ma quello che stavamo cercando adesso era proprio quel sensi di unicità, e in questo caso - ma, ripeto, per il futuro potrebbe non essere più così - la risposta più giusta sembrava venire dai nostri stessi suoni.

E riguardo al paragone con i Velvet Underground?

3D: Oh, per favore...


3. Abbastanza stranamente, 100th Window è un album oltre che di suoni anche estremamente "di parole". Il titolo rimanda ad un capitolo del Dictionary Of Now di Charles Jennings e Lori Fener nel quale si parla di privacy nell’era della comunicazione elettronica, e di come sia tecnicamente impossibile - oggi - proteggersi al 100% dalle intrusioni del mondo esterno. La "centesima finestra" è quell’ennesimo pop-up del nostro browser di navigazione in internet del quale non ci accorgiamo, e dal quale il mondo esterno può attingere ai dati del nostro hard-disc. La metafora ha anche una lettura meno tecnologica e più di tutti i giorni, più "umana". Dice 3D nel comunicato stampa che accompagna l’uscita del disco: "questo è un disco sui modi in cui la gente cerca di tenere nascosti i propri sentimenti, ma su come alla fine ci sia sempre un modo per entrare". A pensarci bene, il tema è organico ai Massive Attack sin dai loro esordi. Non solo, in quest’ottica, un titolo di otto anni fa come Protection diventa profetico; pensate anche alla famosa camminata di Shara Nelson nel video di Unfinished Sympathy (1991), a quel senso di "compattezza" e a-muso-duro-contro-il-resto-del-mondo di lei che - sguardo fisso avanti - attraversa malinconici blocks di periferia londinese sfiorando facce qualunque e freaks di cui poco o nulla sembra curarsi (anche se in qualche modo sembra quasi riassumerli, "includerli" nella sua camminata).

3D: Si pensa alla sicurezza elettronica in termini di hackers che cercano di forzare le difese delle grandi corporations, ma in tutto ciò c’è un livello che ci riguarda molto più da vicino. Perchè alla fine con le grandi corporations ci devi fare i conti, anche solo se hai una carta di credito e se vivi nel mondo di oggi. C’è uno strano equilibrio tra il "sentirsi sicuri" e l’accettare di esporsi, ed è lo stesso che succede quotidianamente nella vita di ciascuno di noi, quando cerchi protezione ma la tempo stesso fuggi dal contatto con gli altri, quando ti imbarchi in una relazione ma scopri di essere fondamentalmente egoista...

Al cui proposito: sul tema delle relazioni interpersonali, e nello specifico delle relazioni sentimentali, c’è in 100th Window una canzone in particolare - Special Cases - destinata a sollevare un polverone. La canta Sinead O’Connor, voce e personaggio al di là di qualunque sospetto di post-(o anti-)femminismo, e il testo fra l’altro recita: "Non dire al tuo uomo che è in errore/guarda piuttosto dentro te stessa/nel mondo succedono cose folli/e ci sono pochissimi uomini che valgono/se hai la fortuna che il tuo sia uno di quelli/ringrazia la tua buona stella". "Special Cases è un tentativo di guardare oltre la battaglia tra i sessi" spiega 3D, "è una canzone sulla fiducia, sulla fiducia nelle relazioni. La relazione fra due persone è uno spazio talmente fragile che solamente la fiducia riesce a tenerlo assieme, e quando trovi qualcuno di cui fidarti e che si fida di te saresti un idiota se permettessi alla relazione di andare in pezzi solo per questioni di orgoglio. Certo, la stessa canzone potrebbe essere intesa a ruoli rovesciati, cantata da un uomo, e il senso non cambierebbe: sarebbe sempre "c’è nella tua vita qualcuno di cui ti fidi e che si fida di te? beh, allora faresti meglio a stare dalla sua parte, e a non fare cazzate"". Ok, ma quello scritto nero su bianco non sarà un punto di vista forse un po’ troppo maschile? "Troppo?". Voglio dire: la canzone si può immaginarla anche a ruoli rovesciati come dicevi, ma di fatto quella che è sul disco è un invito alle donne a non rompere le palle... "Non è così", obietta 3D: "È una presa di posizione molto onesta. E Sinead non ha avuto nulla a che ridire". Già: e se non ha avuto a che ridire lei... "E poi", conclude 3D, "è coerente con l’idea stessa di fondo del disco. Se accetti di svelare le tue emozioni, devi anche accettare l’idea di poter essere un po’ più vulnerabile. Non è una canzone sull’aver ragione ad ogni costo: è una canzone sul mettersi in discussione, tutti e due". Una centesima finestra anche questa, alla fine.

(da: Rumore, febbraio 2003)