Confessions On A Dancefloor: Madonna e l’ultimo capodanno dell’umanità
 

di: Fabio De Luca




Poteva essere tutto un’altra cosa, e invece è così. Che sembra filosofia spicciola, buonsenso " for dummies" , invece il disco nuovo di Madonna poteva realmente essere qualcosa di completamente diverso da quello che invece è venuto fuori. Se vale la regola che lei è quella brava ad annusare l’aria, a leggere i segni, a cogliere gli spostamenti di gusto, allora avrebbe dovuto fare un album rock-oriented, mica ’sto atto di amore verso la club-culture che invece è (a partire dal titolo) Confessions On A Dancefloor. E’ il rock che va adesso, no? Franz Ferdinand, Arctic Monkeys... avete presente? Ragazzini secchi secchi che suonano le chitarre, i bassi e le batterie come se Clash e Sex Pistols fossero storia del mese scorso e non di venticinque anni fa. La dance ormai è roba da trentenni in ritardo, da quarantenni con la nostalgia della loro prima pastiglia di ecstasy; da cinquantenni come Danny Rampling, uno dei fondatori della stagione acid-house londinese, che lo scorso marzo ha annunciato il proprio ritiro dalle scene in concomitanza con il capodanno 2006 e sulla scia di ’sto scherzetto sono otto mesi che gira il mondo (mentre sto scrivendo www.dannyrampling.co.uk lo dà a Buenos Aires, in partenza per Tokyo) con un farewell-tour a base di " grandi successi" house.

Dunque: se vale la regola che Madonna arriva sulle mode un attimo prima che le mode diventino di massa, Madonna avrebbe dovuto farsi disegnare il disco su misura da gente come Death From Above 1979 o Jon Spencer. La scorsa primavera era anche stata fatta circolare ad arte (dalla casa discografica? sono pazzi?) la voce di corridoio secondo cui il disco sarebbe effettivamente stato un disco rock, che lei stava lavorando insieme ai Limp Bizkit, a Fred Durst. A dire il vero la conversione nu-metal era da subito sembrata un’opzione un po’ troppo estrema, ma la svolta garage-chic sarebbe stata interessante per come - parzialmente - chiudeva un cerchio, ricongiungendo idealmente l’icona Madonna con coloro i quali in passato hanno provato a de-iconizzarla: i Ciccone Youth (progetto one-off dei Sonic Youth con Mike Watt dei Minutemen in cui si rifacevano in versione lo-fi rumorista e politicizzata Into The Groove e Burning Up) ad esempio, o il rumorista giapponese Masonna. Ma a parte questo, ovviamente l’idea di un disco rock era una pessima idea. Anche perché Madonna aveva in mente tutt’altro.

Un disco che chiudesse un’epoca, ad esempio. Se lo si guarda da questo punto di vista Confessions On A Dancefloor non è semplicemente un disco (intelligentemente) dance, un disco che utilizza (bene) la grammatica della musica da club. Non solo è strutturato come un mix-album (il vero media caldo della dance) nel senso che i pezzi sono mixati l’uno nell’altro con effetto di tappetone dj-set. Non solo chiude il cerchio con una antica contiguità tra il mondo del clubbing e Madonna (che debuttò nella New York a cavallo tra Studio 54 e Paradise Garage grazie ai buoni servigi del fidanzato dell’epoca, un John " Jellybean" Benitez ai tempi piccola leggenda dei dancefloor newyorkesi), non solo ostenta una confidenza di lunga data con tutte quelle metodolgie di taglia-e-cuci, di furto con destrezza e di bricolage tecnologico consolidate negli ultimi dieci anni dalla dj-culture. Confessions On A Dancefloor fa molto di più: celebra la dance, e lo fa nel momento esatto in cui tutti quanti dicono che la dance è in crisi, che è morta, che ciò che racconta non è più la realtà ma la foto sbiadita di una realtà edonista e spensierata vecchia di quattro anni, pre 9-11, pre-crisi, pre-banlieu in fiamme. Ma soprattutto: Confessions On A Dancefloor non è il riscatto della dancefloor-culture " che ritorna" . Al contrario, è il suo fuoco artificiale più luminoso e - dunque - finale. E’ l’ultimo capodanno dell’umanità in pista (come il tour mondiale di Danny Rampling, ma senza la vacca sacra della nostalgia). E’ ciò dopo di cui non ci sarà più nessuna Ibiza, nessun Minstry Of Sound, nessun Little Louie Vega, nessun Riccione, nessuna New York. E’ l’atto finale, definitivo: lo scorrere dei titoli di coda mentre fuori il cielo comincia a rischiararsi di un bagliore lattiginoso che non promette nulla di buono.

La magica liberatoria esortazione " And you can dance, for inspiration" dell’intro a Into The Groove un milione di anni fa oggi potrebbe suonare: " And you could have danced, for inspiration" . Non che Madonna lo dica da nessuna parte nel disco, ma il senso un po’ è questo. Ed avrebbero anche una ragione di essere, allora, le mille citazioni che, volendo, è possibile riconoscerci dentro. " I heard it all before" (" ho già sentito tutto" ) come dice la voce metallica dentro Sorry, e infatti: Blue Monday dei New Order, I Heard It Through The Grapevine, persino I Wanna Be Your Dog degli Stooges, I Feel Love di Donna Summer... solo per elencare le più evidenti, e tralasciando l’unica vera e dichiarata, quella di Gimme Gimme Gimme degli Abba nel singolo Hang Up. Allusioni, enigmistica da bancone di negozio di dischi, gusto hooligano del sampling ai confini del legalmente consentito (produce un dj, del resto: Stuart Price, forse più noto cn i suoi molti pseudonimi Jacques Lu Cont/Les Rhythmes Digitales/Thin White Duke/Paper Faces/Zoot Woman). Ma anche la consapevolezza che questa è la festa finale - giusto? - e quindi (come Danny Rampling, di nuovo) tutto ciò che si può fare è riascoltare e ri-suonare per l’ultima volta tutti quei dischi fantastici che hanno popolato la nostra vita e le nostre notti. Almeno fino a che non sorgerà il sole e non cancellerà tutto ciò che è stato fino ad ora.

(da: Hot, dicembre 2005)




Madonna
Confessions On A Dancefloor
(Maverick/Warner)
voto: 5/5

Abba? Ok, ha campionato gli Abba (nel singolo Hang Up). Che comunque ci vuole del fegato - e del genio - anche per campionare gli Abba: un po’ come copiare stando seduti in primo banco. Ed è vero anche che ormai i dischi di Madonna - come del resto il corpo biologico della loro autrice - sono sempre più questione d’ingegneria e palestra e sempre meno di carne e fluidi organici. Vero. Verissimo. Eppure questo è un disco interessante per come piega alle esigenze della sua platinata intestataria gli ultimi quindici anni di dj-culture, segnando nel contempo la chiusura di un cerchio nella storia di Madonna (c’era un dj dietro il suo debutto, l’allora fidanzato John " Jellybean" Benitez, c’è un dj dietro Confessions On A Dancefloor, Stuart " Jacques Lu Cont" Price) ed un limite oltre il quale sarà impossibile spingersi. Abba a parte le citazioni furbette sono decine: da Marvin Gaye all’electro francese, dai New Order (in Let It Will Be Me) a persino gli Stooges (in I Love New York). Mordi-e-fuggi veloci, stroboscopici, quasi immateriali. E - dietro - un mondo senza gioia e prossimo al collasso, nonostante le pailettes. Spaventosamente reale. [Fabio De Luca]

(da: La Repubblica XL, novembre 2005)