Tiga: "la prima volta che ti chiedono un remix è come la prima volta che baci una ragazza"
 

di: Fabio De Luca




Di tutti gli scenari possibili in cui uno potrebbe provare a immaginare un metrosexual professionista, questo è il meno credibile di tutti. Letto sfatto, una valigia scoperchiata e abiti sparsi tutto attorno come si fosse dentro il tableaux vivant di qualche canzone dei Soft Cell (vengono in mente Bedsitter, o Heat, o decine di altre). In questo bordello di stanza d’albergo milanese, nella mezz’ora precedente il nostro ingresso, si è svolto un set fotografico. Il fotografo svizzero spicca per l’istintiva antipatia che suscita, e per un pullover color gatto con la gastrite (nel senso del vomito). Il soggetto metrosexuale del set fotografico, invece, spicca per un interessante abbinamento eyeliner + pigiama (più tardi si capirà che non è un pigiama, ma un capino tutt’altro che economico di - tipo - Margiela, o Helmut Lang, ma al momento delle presentazioni, "piacere Hot, piacere Tiga", sembra ancora un pigiama). "Trovati, uhm, un posto" mi dice l’uomo in pigiama ed eyeliner, e subito dopo solleva due dita nell’internazionale gesto metrosexuale che indica mi scappa la pipì, posso assentarmi un minuto?. Rimasto solo, taccuino alla mano prendo nota: numero una t-shirt dei Cure; numero una t-shirt "Purple Rain" di Prince; numero una maglietta scollata a righe grigie orizzontali; numero una cravatta stile NY 1980, nera e metallizzata; numero una felpa rosa; numero uno giubbotto di denim bianco; numero una copia del tomo Atlas Of 20th Century History di Richard Overy...

Tiga è in questo momento uno dei dj più famosi al mondo. Uno che pur avendo ancora un piede ben saldo nell’underground electro-tech da cui proviene (da ragazzino, negli anni Novanta, si sbatteva per organizzare i primi rave che la popolazione di Montreal avesse mai visto), ha ormai l’altro dentro alla porta che dà sul mondo dei quasi-superstar. Non siamo ancora nella divisione dorata dei dj-che-producono-Madonna, ma è evidente che il prossimo passo sarà quello. Nel frattempo Tiga crea remix che spesso segnano il suono di un’intera stagione (come il recente Washing Up di Tomas Andersson, su Bpitch Control) e produce pezzi electro-funkeee la cui durata di vita dentro alle valigie dei dj è di gran lunga superiore alla media internazionale. Alcuni esempi: Pleasure From The Bass, Louder Than Bombs, London’s Burning... L’album "Sexor", che esce ai primi di febbraio, li raccoglie più o meno tutti, accanto ad altri che invece si staccano nettamente dal format danzabile e puntano in direzione di una - come vogliamo chiamarla? - canzone d’autore techno-pop. I rifermenti sono agli Human League, a quel genio dimenticato che fu The The, ancora una volta ai Soft Cell. Ed è qui che la natura del dj vacilla e la sua immagine si stempera in quella di una potenziale popstar.

Questo in realtà è un aspetto molto interessante di Tiga: perché alle volte - e ovviamente il look compiutamente metrosexual aiuta - pare quasi che dentro lui ci sia una popstar che smania per uscire. Quanti dj conoscete che cantano, anche, nei loro dischi? (e in maniera dignitosa, fra l’altro). Quanti dj conoscete che, richiesti di un remix, ne confezionano uno in cui ricantano da zero, loro, la canzone che dovevano remixare?!? "Ti riferisci a Madame Hollywood di Felix Da Housecat e Nag Nag Nag dei Cabaret Voltaire?" dice Tiga, "ma nel caso di Felix, hmm, il pezzo era semplicemente perfetto, ma secondo me il vocal di Miss Kittin - così freddo, teutonico, electro - teneva la canzone sullo sfondo, ne annullava la componente drammatica. Quello che ho fatto è stato... sviluppare il potenziale di quel pezzo. Più quello, che mettermi in mostra io". Allo stesso tempo però - quasi avesse paura di fare il definitivo salto nel vuoto da dj a, definitivamente, popstar - quando c’è da cantare un pezzo con un reale potenziale killer come il recente singolo You Gonna Want Me, Tiga si tira indietro e lo fa cantare a Jack Shears (degli Scissor Sisters). "No, non è paura. In realtà mi piace giocare con l’idea di essere una popstar, ma non crdo che vorrei esserlo davvero. Essere veramente famosi significa rinunciare a qualcosa in termini di libertà, e io non voglio rinunciarci. E’ vero, sto in mezzo ai due mondi perchè in definitiva non ho ancora deciso esattamente da che parte stare, ma per adesso va bene così. Mi diverto, soprattutto".

Che Tiga si diverta è abbastanza ovvio e - vivaddio - la cosa emerge anche dall’album, nel quale non a caso è coinvolta tutta la sua galassia internazionale di amichetti: da Jesper Dhalback ai Soulwax agli Scissor Sisters. Anche se, come in tutte le migliori opere dance, anche in "Sexor" c’è un lato oscuro, cupamente malinconico, che stempera quello più superficiale, glamourous e gioiosamente promiscuo. Sono sfumature ai margini della palette emotiva, piccoli segnali apparentemente insignificanti. Un esempio a caso: tra le note di copertina c’è scritto, piccolino, Sexor con accanto una data di nascita ed una - si intuisce - di morte. Tiga fa una faccia tra il rabbuiato ed il sinceramente sorpreso. "Sei il primo che se ne accorge", dice. Ma non gli va di parlarne, così ci atteniamo alla versione ufficiale: "le due date segnano un periodo che, uhm, si è concluso con la fine del disco". Un classico degli artisti, identificare con la fine di un ciclo il termine della loro ultima opera... "Ma perché è veramente così!" dice Tiga. "Per me tutta l’eccitazione è nella fase creativa, non nel vendere un disco o suonarlo in giro. Ok, quello può essere divertente, può gratificarti, ma l’eccitazione sta tutta nell’atto creativo. E’ quello che, una volta che l’hai provato, ti spinge ad andare avanti: crei perché vuoi provarlo di nuovo, come una droga!". Per questo Tiga è così iperproduttivo? Al punto che quasi non passa settimana senza che un suo nuovo remix non arrivi nei negozi? "In realtà adesso cerco di essere molto meno iperproduttivo, di mettere delle barriere. Sai, la prima volta che ti chiedono un remix è come la prima volta che una ragazza ti chiede se vuoi baciarla: non ti tiri certo indietro". E poi? "Beh, poi impari a tirarti indietro". E - come dire - se lo dice il principe dei metrosexual...

(da: Hot, gennaio 2006)