From Genesis to revelation: la dj-culture scopre il "progressive"
 

di: Fabio De Luca




Fateci caso, basta aguzzare la vista la prossima volta che passa su Mtv: nello stilosissimo video di Daft Punk Are Playing at My House degli LCD Soundsystem, il maître di stile indie-geek James Murphy indossa una t-shirt con il logo dell’etichetta Vertigo. Vertigo è la sub-label "alternativa" creata dalla Philips a metà anni Sessanta, una vera pietra miliare dell’art-rock "progressivo" per la quale in epoca preistorica firmarono fra gli altri degli esordienti Black Sabbath (e in tempi molto più recenti Metallica e Dire Straits): dunque - uhmm - non esattamente qualcosa che uno sia istantaneamente portato ad associare con la nozione di coolness contemporanea - e nemmeno con la nozione di "non-coolness che diventa coolness" che Murphy e la sua band, in un perverso rigiro semantico, sembrano aver perfettamente incarnato. Qualcuno dotato di buonsenso dirà: Vertigo come logo è talmente bello (fra l’altro: ispirato ad un manifesto op-art che appariva, appeso al muro di un negozio di dischi, in Arancia Meccanica) che tanto basta a dare senso al fatto che uno possa decidere di vestire una t-shirt con quel logo sopra. Ma noi sappiamo che non è così: che Murphy - come noi - non sceglierebbe mai una citazione così tanto per farlo, che se mette una t-shirt con un logo invece che un altro è perchè vuole mandarci un preciso messaggio (non proprio come i Beatles con Charles Manson, ma quasi).

Secondo indizio: Andy Votel è un dj ed è anche la testa dell’etichetta Twisted Nerve, che in quasi un decennio di vita ha tenuto a battesimo una dozzina di più o meno probabili act tra i quali il cantautore con il cappello di lana Badly Drawn Boy (quello della colonna sonora di About A Boy, nel caso il nome vi giunga nuovo). Votel esce in questi giorni con un mix-album intitolato Vertigo Mixed (Family Recordings) nel quale taglia, cuce insieme e mixa - come fosse la sua collezione di 12" disco - una sessantina (!) di titoli dal catalogo storico della Vertigo. Nomi come Colosseum (art-blues, nati da uno spin-off degli Bluesbreakers di John Mayall), Aphrodite’s Child (prog-pop da tre greci scappati a Parigi nel ’68, uno era il poi celebre Vangelis), Nirvana (la band psichedelica inglese di metà anni Sessanta che trent’anni dopo farà passare i suoi guai legali a Kurt Cobain e soci), Manfred Mann (il pianista jazz sudafricano amico dei Rolling Stones), Patto, Thin Lizzy, Uriah Heep, Cressida, Nucleus... L’effetto all’ascolto è, strano ma vero, pazzescamente funky. Uno pensa al progressive e immagina (o ricorda, se vecchio abbastanza per ricordare) interminabili suites, assoli di batteria lunghi sette minuti e virtuosismi da conservatorio: ma evidentemente lavorare sui frammenti - scegliere cioè quegli unici quindici secondi significativi in termini di "funkyness" nell’intera sterminata discografia dei Patto o dei Gravy Train - consente da un lato di mantenersi entro i limiti della soglia di attenzione dell’ascoltatore "medio", e dall’altro permette di estrarre il funk sepolto nel dna anche dell’art-rock più serioso. Onore al merito di Andy Votel: uno che evidentemente la sterminata discografia dei Patto e dei Gravy Train (e non solo loro) la conosce davvero - le note di copertina puntualizzano che il cd è stato mixato "using his own record collection" - e proprio come dovrebbe fare un vero dj, ha scelto per noi quelli che secondo lui erano i momenti che andavano ricordati. E tramandati (sia pure per frammenti).

Terzo indizio: un altro mix-album, stavolta opera del dj londinese Erol Alkan, quello uscito fuori contemporaneamente ai 2ManyDJs da un retroterra abbastanza simile al loro (eclettismo electro-rock e un occhio di riguardo per tutta la faccenda del mash-up) e che come loro si è successivamente riconvertito all’electro. Il suo doppio cd (A Bugged Out Mix by Erol Alkan, Bugged Out) in mezzo al prevedibile delirio electro contiene un paio di scelte decisamente curiose: Hush dei Deep Purple tanto per dire (che apre il primo cd), Rainbow Chaser dei Nirvana (la band pschedelica inglese... ok, vd.sopra), un’altra perla british-prog firmata Rare Bird... Del resto Alkan è famoso, tra le varie cose, perchè ha una serata mensile in un club di Londra nella quale suona solo e soltanto vecchio rock psichedelico (e nel caso ve lo stiate chiedendo, la risposta è no: Erol Alkan non è esattamente una vecchiazza nostalgica, no, non ha nemmeno trent’anni!).

Insomma: dato per assodato che tutto ciò che di nuovo consumiamo in ambito musicale da qualche anno a questa parte è soprattutto frutto di rielaborazione dell’esistente, quando non di intere epoche del passato - gli anni Ottanta del techno-pop e della prima electro, i primi Ottanta newyorkesi del crossover punk/funk, il punk pre-svolta politica di fine Settanta - la domanda che è lecito porsi è: dove sta puntando la freccia del tempo? Ok, la creazione degli stili sarà definitivamente una questione di ricorsi e riciclaggio spicciolo (ancorchè "onesto", nei molti casi in cui una generazione si riappropria creativamente delle schegge di un passato troppo in là nel tempo per averlo potuto vivere in prima persona), ma in base a quali criteri di corsi & ricorsi adesso - adesso che ci si preparava a riesaminare gli anni Novanta - "va" il progressive?!? E badate, lo sappiamo che la domanda è oziosa e la semplice interpretazione alla luce del processo di corso & ricorso ancor di più. Perchè probabilmente non si tratta di un ricorso storico. Perchè ciò di cui si sta parlando qui non è il revival della naturale attitudine colta, intellettualizzante e tecnicistica che fu del progressive negli anni Sessanta e Settanta e che più di recente è stata splendidamente portata avanti da certe forme avanzate di "math rock", da certo metal di ricerca (Tool, Meshuggah) e da certa elettronica molto, molto ragionata (Amon Tobin, Four Tet...). Qui stiamo parlando di un recupero del progressive che è più superficiale che sostanziale, più legato alla sensazione (es: l’assolo "prog" di batteria campionato da Andy Votel) che allo studio delle strutture, e dunque più estetico ed "estatico" che altro. Un quarto indizio? Eccolo: il nuovo singolo dei napoletani Planet Funk, Stop Me, ascoltate l’inizio, le prime quattro battute, non vi ricorda qualcosa? Esatto, Abacab dei Genesis: pazzesco, ad averne voglia e tempo si potrebbero mettere in loop e sovrapporre perfettamente. Non è un campionamento, non è - ovviamente - una scopiazzatura: è una coincidenza, un buffo ricorso involontario della storia, una propensione melodica che ciclicamente a momenti riemerge (e se ascoltate l’intero album dei Planet Funk capirete come sia, pur nella sua essenza "dance", un album profondamente calato in quel mestiere di scrivere musica che fu appunto del migliore rock progressivo). Ciò detto: il primo che prende Turn It On Again (sempre dei Genesis, sta in tutti i greatest hits) e le mette le mani sopra alla maniera in cui Eric Prydz ha fatto con Valerie di Steve Winwood secondo me diventa ricco. Sempre che l’avvocato di Phil Collins non si metta in mezzo, certo.

(da: Hot, giugno 2005)