The rhythm, the traxx, the Basement, the Jaxx...
 

di: Fabio De Luca




O1. CUT THIZ GROOVE.
"Il bello di essere i Basement Jaxx" argomenta Felix Buxton, e come dargli torto, "è che ti invitano nei posti più incredibili. Il mese scorso, a Miami, abbiamo suonato i dischi ad un party che sarebbe stato il sogno di ogni dj: uno yacht che ha mollato gli ormeggi appena l’ultimo ospite è salito a bordo. A quel punto se eri sopra non avevi molta scelta: potevi ubriacarti, ballare e divertirti fino all’alba oppure... ubriacarti, ballare e divertirti fino all’alba, non c’era altro da fare. E soprattutto nessuno poteva lasciare la pista da ballo, eheheheh...". Sono le undici del mattino, e da circa un’ora e dieci Felix Buxton è alle prese con una delle più lunghe, complesse e articolate english breakfast mai consumate all’interno del comune di Milano dai tempi - probabilmente - della visita della Regina Elisabetta e della Sua Corte. Tanto lunga e complessa che ad un certo punto qualcuno deve chiedergli se - ehm - non è un problema per lui iniziare comunque la tornata di interviste previste per la mattinata... Problema? Ma ci mancherebbe altro. Con la faccia impiastricciata di burro e marmellata e un ghignoso sorriso indice di un’attitudine più che easy nei confronti delle cose e della vita, Felix (il Basement Jaxx con occhiali e barbetta) entra prontamente in modalità FAQ, e subito trova le tre parole con cui sintetizzare la filosofia operativa sua e del suo socio Simon Ratcliffe. "Yeah... a bit of education, a bit of inspiration and a lot of body working!". Un po’ di educazione (nel senso di: "far conoscere al pubblico cose che non si aspetterebbe gli possano piacere"), un po’ di ispirazione e molto lavoro di/sul corpo. Viene in mente, chissà perchè, Jennifer Beals in Flashdance. O, meglio ancora, Jennifer Beals idolatrata da Nanni Moretti in Caro Diario. Troppo complicato da spiegare al pur pacifico Felix, però. You know, with your beard you just look like an italian cult-director who used to like Jennifer Beals... Stop! Rewind. I Basement Jaxx hanno appena pubblicato un disco intitolato Rooty in cui sono riusciti nella non facilissima impresa di sintetizzare "il" senso ultimo della club-culture 2001 dentro tredici tracce cd. Tredici tracce in cui ritrovare la dinoccolata insofferenza della house più creativa, l’eleganza da boutique in acciaio e plexiglas dell’Uk-garage, lo stile senza rughe dell’R’n’B, l’energia mai spenta del punk, del rocksteady e della new wave degli esordi. Tutto insieme come fosse una compilation, ma senza che sia una compilation. Apparentemente, la quadratura del cerchio: "dicono di noi che siamo l’unica band al mondo che è riuscita a fondere con successo il punk e la house" dice Simon (nel frattempo è arrivato anche lui). "E non è qualcosa che abbiamo ricercato, è successo e basta!" gli fa eco Felix. "E non abbiamo nemmeno dovuto campionare una chitarra: la nostra è pura attitudine punk!" aggiunge Simon. "Del resto", conclude Felix, "la house più ai limiti (edgy) ha sempre avuto un’attitudine punk". Dei punk prestati ai laboratori segreti dove si ridisegna la scienza del breakbeat, insomma. Che al posto delle canzoni di tre accordi hanno un’arsenale di white-label da testare con il pubblico dei club.

Felix. Siamo sempre terrorizzati quando testiamo i nuovi pezzi per la prima volta! Lo scorso anno abbiamo avuto per diversi mesi questa serata mensile chiamata Rooty, il nuovo album prende il nome da lì: ogni mese venivano dalle quattro alle cinquecento persone - tieni conto che era il retro di un pub, a Brixton - ed abbiamo usato quel posto e quella serata per testare tutti i nuovi pezzi man mano che li registravamo e mixavamo. Li suonavamo nel momento della serata in cui il party era da poco decollato, in modo da verificare la reazione con un pubblico già caldo ma non ancora fuori al punto da prendere per buona qualunque cosa tu stessi suonando...

Mio dio, suona terribilmente come un esperimento di psicologia comportamentale...

Felix. Eh eh, consideralo parte delle tecniche di studio...


02. BOOGIE WONDERLAND.
Non tutto, in realtà, è andato liscio come suona oggi nello splendore dei cinque pollici iridati appena estratti dal prezioso box di plastica su cui campeggia un gorillone spaziale. "Breakaway", racconta Simon, "la prima volta che l’abbiamo suonata è andata tremendamente male, praticamente ha vuotato la pista. Ora è perfetta, esattamente come l’avevamo in testa sin dal principio ma non eravamo riusciti a focalizzarla. E’ passata attraverso un certo numero di fasi, e i test "da club" hanno sicuramente aiutato". "Con Romeo abbiamo avuto meno problemi" aggiunge Felix, "perchè Romeo è per sua stessa natura meno complessa e più diretta di Breakaway. Anche Romeo comunque è cambiata con il tempo, all’inzio era molto, molto più soft, non sembrava quasi una traccia da club. Ancora adesso non è che sia esattamente quello che si intende abitualmente con club-track, però ha quel tipo di ritmo che fa saltare le gente sul posto come molle, e quindi funziona. Per noi è stata una sorpresa ed anche un sollievo vedere che potevi avere un pezzo ballabile senza per forza doverlo costruire su ritmi boum-thc-boum-tch-boum-tch...". Di certo Romeo è uno di quei pezzi con la rara capacità di arrivarti dritto all’ipotalamo la stessa prima volta che lo ascolti, e questo sicuramente aiuta. Eppure, è innegabile, ci senti dietro anche quella ricerca della perfezione, del dettaglio sopra-la-media, che è un tipico marchio di fabbrica dei Basement Jaxx. Simon si assesta (rumorosamente) sulla sedia: "quello che in genere ti dicono alla casa discografica quando ascoltano i tuoi provini è: "se un pezzo funziona non cercare di andare più in profondità". Ma quello che vogliamo fare noi è esattamente questo, andare più in profondità". Il che non significa rifinire all’infinito, vero? "Assolutamente no", conferma Simon: "anzi, una certa imprecisione, non-sofisticatezza, sono caratteristiche del nostro modo di fare le cose. Ciò che conta davvero è ciò che senti nel preciso momento in cui hai appena finito di registrare e mixare una traccia e la riascolti: quello è il momento attorno a cui ruota tutto, il momento in cui capisci il senso di quello che hai fatto". La motivazione ultima che spinge due persone a chiudersi per sei mesi dentro uno studio di registrazione la spiega invece Felix, dal punto di vista di un dj: "quando entri una, due, tre volte dentro un negozio di dischi, e tutte le volte ciò che senti sono sempre le solite cose, la prima cosa che ti viene voglia di fare è andare a casa e farteli da solo i dischi che vorresti suonare".

Dal punto di vista di un dj la vostra filosofia si potrebbe riassumere nella formula "va tutto bene, purchè funzioni in pista"...

Felix. Si, assolutamente. I djs da club tendono spesso a considerare come loro priorità quali pezzi vadano bene insieme, quali si mixino bene uno nell’altro, dimenticando che davanti hai della gente... La gente, voglio dire la gente normale, quella che non è "esperta" di musica, è molto aperta di mentalità: nella loro vita ascoltano la radio, ascoltano gli Oasis, ascoltano ritmi latini, house-music... Il trucco sta nello sfruttare questa loro apertura mentale per far passare cose diverse, cose che loro non si aspettano: devi aver voglia di rischiare, e non lasciare cadere il ritmo, questo è il trucco...

Quali sono le differenze tra voi due nel lavoro di studio?

Felix. Simon è molto più musicista di me: io non so suonare nessuno strumento, quando siamo in studio gli devo spiegare a parole quelle che sono le mie idee per le melodie o per i suoni. Io probabilmente ho più una visione d’insieme, Simon è più attento ai dettagli della produzione, a fare sì che tutti gli elementi siano armonizzati...

E’ uno di quei casi in cui ciascuno di voi preso singolarmente non riuscirebbe a fare nemmeno il 50% di quello che fate in coppia?

Simon. Probabilmente si! In realtà il segreto è che in due fondamentalmente ci si annoia di meno a passare giorni interi chiusi dentro uno studio di registrazione.


03. GOT TO BE REAL.
Dalle session di Rooty sono usciti un paio di pezzi che non sono rientrati sull’album. Sono, dice Simon, "un pezzo con influenze spagnole, uno con influenze latine, un’altro con influenze greche". Più una traccia intitolata Bongoloids, che è finita sul retro del 12" di Romeo. A detta di Simon e Felix sono pezzi assolutamente all’altezza degli altri: "solo non c’entravano con l’album così come era stato assemblato". Appare, all’orizzonte, lo spettro della band con la sindrome da "fiato sul collo", alle prese con un secondo disco che deve - pena la morte sociale - essere all’altezza del geniale primo.

Remedy è stato uno di quei dischi che ha fatto fare un salto in avanti alla nozione stessa di musica dance...

Felix. Al mondo intero, dillo pure: al mondo intero!!!

...Questo significa che lavorando a Rooty avete dovuto fronteggiare un carico di responsabilità superiore alla media nei confronti di ciò a cui stavate lavorando?

Simon. Sai come vanno queste cose: non è facile lavorare sapendo che tutto l’universo sta aspettando quello a cui tu stai lavorando. Ma alla fine ce la fai. Che vuoi farci: è la vita. Eheheheh...

Felix. Arriva un momento in cui non ne puoi più di sentire il tuo disco suonare da tutte le parti: quello è il momento di cominciare a lavorare ad un nuovo album.

Simon. Seriamente: abbiamo avuto molti più problemi durante la registrazione del primo disco, quando alla casa discografica non sapevano se lavorarci come un gruppo pop, un house-act o cos’altro. Al confronto lavorare a Rooty è stato una vacanza.


04. GUNZ OF BRIXTON.
Dodici ore più tardi, i due brixtoniani stanno per salire ai piatti dei Magazzini Generali di Milano per due ore abbondanti di set durante le quali passeranno - come da copione - da Missy Elliott ai tamburoni acid-afro alla latin-house ai nu-skool breaks (compreso il bootleg di cui si parlerà nei mesi a venire: un pazzesco groove creato partendo da Are Friends Electric? di Gary Numan). Felix ha una t-shirt del Body & Soul di New York, dove non hanno mai suonato ma sono stati "solo per comprare questa maglietta. Eheheheh". In effetti (e ad averci pensato stamattina si poteva anche chiederglielo) è strano quanto i Basement Jaxx siano assolutamente globetrotters ma al tempo stesso legati ad una dimensione pervicacemente local dell’esistenza: neanche "Londra" come centro del mondo, ma proprio i soli quartieri di Brixton e Camberwell. Felix trova il tempo di rifletterci un attimo: "E’ strano: viaggiando ti capita di apprezzare sempre di più ciò che appartiene alla tua cultura. Noi agli inizi idolatravamo tutto ciò che era americano: ovviamente c’entrava il fatto che la house-music fosse nata negli USA. Adesso invece riconosciamo la grande importanza che ha avuto su di noi la cultura e la musica british con cui siamo cresciuti".

E la superstizione sul prossimo album?

Felix. Assolutamente tutto vero. Non cominceremo a lavorarci fino a quando non troveremo un’altro titolo che inizi per r e finisca per y. Eheheheh...

(da: Rumore, luglio/agosto 2001)