21 giugno 2003: Remember Baia degli Angeli | |
di: Fabio De Luca "Mi riconoscerai dal furgoncino grigio metallizzato" dice al telefono il superstar dj con cui ho appuntamento appena fuori dalla stazione FS di Cattolica. Come? Non dalla Ferrari 550 Barchetta? Non dalla fila di cubiste che smaniano per un sorriso? Strana la vita, alle volte. Eppure Daniele Baldelli è il "papà" di tutti i superstar dj di cui avete letto in questo libro. Le sue serate, ma ancora di più "le cassette" delle sue serate che passavano di mano in mano su e giù per lItalia tra il 77 e il 78, hanno insegnato lAbc del mestiere di dj a più di un nome tra quelli oggi ai vertici della piramide. Lidea che un disco dei Kraftwerk ed uno di Wilson Pickett potessero coabitare pacificamente (anzi, creativamente) allinterno della medesima selezione musicale è più o meno un suo copyright, qui in Italia. Daniele Baldelli è il dj che poteva conquistare il mondo ma non lha fatto, accontentandosi di lasciare unorma indelebile sulla club-culture italiana. Ed eccolo, come promesso, accanto al furgoncino metalizzato. È un caldissimo pomeriggio di giugno: così caldo da sciogliere le bottiglie dacqua e trasformarle in sculture in Pvc. Stasera non lontano da qui si compirà un rito annuale, e forse non è un caso che il giorno coincida con quello del solstizio destate. Stasera si cercherà di far rivivere per una notte il più indimenticabile, suggestivo, rutilante, esagerato locale nella storia del clubbing italiano: la Baia Degli Angeli di Gabicce. Baldelli era insieme a Claudio Rispoli aka "Mozart" il dj della golden age della Baia Degli Angeli in quel biennio che cambiò il corso della storia; e stasera Baldelli & Mozart saranno nuovamente insieme, per una sola notte, in quello stesso luogo - o in ciò che ancora ne rimane in piedi - forse addirittura di fronte allo stesso pubblico di allora, di certo animati dallo stesso entusiasmo. Così giura Baldelli (ma non è difficile credergli), mentre guida lungo le stradine alberate e anonime della Cattolica più interna, lontana dal traffico balneare. In pochi minuti arriviamo ad una villetta bifamiliare proprio dietro la linea ferroviaria. In uno degli appartamenti abita Baldelli con moglie e figlio, nellaltra i suoi genitori. Scendiamo subito in cantina, una cantina sufficientemente ampia da poterci tirare fuori - volendo - un miniappartamento, non fosse che è completamente, interamente, totalmente piena di dischi. Cè spazio appena per una postazione di lavoro con il computer e per una regia con tre giradischi e un mixer: tutto il resto è dischi, di ogni epoca, di ogni formato. Locchio si perde. Scatole, scaffali, cassettiere a scomparsa: tutto pieno di dischi. Una casa "per" i dischi, letteralmente. "Sono circa 25.000" dice Daniele: "18.000 li ho già catalogati su computer, per gli altri ci vorrà ancora un po di tempo". Dischi, dischi e ancora dischi. Viene in mente quel famoso episodio di Twilight Zone in cui un bibliofilo rimane lunico sopravvissuto sulla terra, e appena mette piede nella biblioteca dove sogna di passare in solitudine il resto della propria vita inciampa e rompe gli occhiali... Immaginarsi di rimanere chiusi qui dentro senza un giradischi e più o meno lo stesso. Di giradischi, però, ce ne sono ben tre, e sono pure dei bei pezzi da cultore. Sono dei Technics SP15, usciti di produzione immediatamente dopo la comparsa sul mercato dei più noti 1200. "Allepoca ne avevo sei", racconta Baldelli, "costavano un milione luno! Quelli che usavamo alla Baia erano i miei personali. Li avevo scelti perchè alla Baia suonavamo su unascensore che andava continuamente su e giù, e i Thorens che avevo prima facevano saltare il disco ogni volta che lascensore si fermava. Gli SP15 invece sono, per definizione, "antisismici": il braccetto ha una vaschetta dolio che ammortizza qualunque sobbalzo". Ogni tanto la skyline dei dischi è interrotta da qualche memorabilia di altro genere: ecco una foto di Baldelli insieme a Franco Moiraghi e Marco Trani, a Bari, ecco un vecchio Macintosh da battaglia, unaltra foto depoca scattata al Fura di Desenzano... Gli chiedo in che anno precisamente abbia iniziato a fare il dj. "Nel 1969", risponde: "avevo sedici anni. A Cattolica cera un solo locale chiamato La Tana: ho lavorato lì per un paio di mesi, poi ha aperto questo posto nuovo, il Tabù, che per lepoca era molto modaiolo, carino... Mi hanno chiamato, e ho deciso di passare da loro". Unanticipazione del discomercato di quasi ventanni dopo?!? "Non esattamente", dice Baldelli. "Allepoca il dj era un operaio più che un artista. Non ti era richiesto di metterci "del tuo", anzi. Allepoca la regola era ancora "cinque lenti e cinque shake", e non si sgarrava. I dischi li comprava lo stesso proprietario del locale, che poi li sistemava in un determinato ordine sullo scaffale, e tu dovevi suonarli rispettando esattamente quellordine. Non cera il preascolto, e nemmeno il mixer: cerano due controlli di volume sullamplificatore, uno per ciascun giradischi, e tutto quello che facevi era sfumare uno e alzare laltro". "Però", aggiunge Baldelli, "eravamo anche dei pionieri: non avevamo modelli a cui ispirarci per fare i dj, quindi valeva tutto e tutto era una novità". Gli chiedo che cosa si ballasse nelle "disco" del 1969. Baldelli scompare dietro una enorme cassettiera per riemergerne un minuto più tardi con una lunga cassa in legno piena di quarantacinque giri. "È solo una delle quattro che mi ero costruito allepoca per portare in giro i dischi", dice. Vaschettiamo insieme: The Equals, Jackie Moore, Funky Robot di Rufus Thomas, Peoples Choice, Etta James, Arthur Conley, Atomic Rooster, The Stooges, ovviamente Rolling Stones... "Li compravo in un negozio qui a Cattolica. Poi, quando è cominciata ad esserci un po di competizione tra i dj e si è capita limportanza dellimport, allora ogni paio di settimane prendevo il treno e andavo in un negozio chiamato Radio Columbia, a Lugano". Ne pesco uno a caso, e Baldelli lo piazza sul giradischi: Follow The Wind dei Midnight Movers Unlimited. Un bel funk "problematico", forse addirttura politicizzato, con fiati alla Parliament e un tiro che ancora oggi farebbe la sua figura nel un warm up di qualsiasi serata nu-breaks. Dieci minuti più tardi e siamo di nuovo a bordo del furgoncino grigio metallizzato. Destinazione Baia Degli Angeli: ci sono ancora gli ultimi ritocchi da fare e gli ultimi accordi da prendere in vista di stasera. Scorrono le alture di Gabicce. Rispetto agli anni doro della Baia sono molte di più le villette che punteggiano la collina: con gli anni in parecchi giù a Gabicce hanno deciso di investire in questa zona, lasciando la pianura in pasto ai vacanzieri ed ai villeggianti da weekend. Baldelli prova a ricostruire un po di cronologia della Baia. "Ha aperto nel 1974: in realtà cera già da prima, ma era uno sporting club. Poi lha presa in mano un imprenditore di nome Giancarlo Tirotti: è lui che ha dato alla Baia limpronta che lha resa famosa. Tirotti conosceva molta gente introdotta nei giri del cinema, e i primi tempi capitava spesso di incontrarci attori ed attrici famose, registi... Tirotti era uno che girava il mondo, uno che allo Studio 54 di New York era di casa... E stato lui a portare dallAmerica i due dj storici della Baia, Bob Day e Tom Season. In realtà nessuno ha mai saputo se loro in America fossero realmente famosi, e infatti tra noi si era soliti dire che quei due lAmerica lavevano trovata a Gabicce... Però la musica che suonavano era incredibile. Noi che i dischi li compravamo solo quando uscivano stampati in Italia eravamo sconvolti dal loro repertorio: il Philly Sound, tutta quella disco che non è mai andata in classifica... musica che qui sarebbe arrivata oltre un anno più tardi. È da loro che ho imparato limportanza del repertorio, del ricercare i dischi senza accontentarsi dei primi che si trovano". Eccoci alla Baia Degli Angeli: che adesso però, da ormai diversi anni, si chiama Baia Imperiale. E strano vederla così, di pomeriggio. In effetti vedere un club alla luce del giorno è più o meno sempre strano. La Baia però, con le sue ampie vetrate e le sue terrazze, regge il confronto meglio di qualunque altro locale. "Dovevi vederla allepoca", dice Baldelli: "era aperta anche il pomeriggio perchè cera la piscina: tutta bianca... era uno splendore". Mentre racconta, il superstar dj degli anni doro della Baia inizia a scaricare - lui, personalmente - i giradischi, le flying case metalliche piene di vinile e persino le lastre di marmo anti-vibrazione che gli serviranno stasera. Lautore di questo libro lo aiuta, felice di entrare - anche solo per cinque minuti, anche se con venticinque anni di ritardo - nella Storia. Allestita la postazione è il momento del soundcheck. Baldelli scoperchia tutte e quattro le casse di metallo piene di dischi, album e 12". Ciascun disco è numerato e inserito dentro una busta di plastica trasparente semirigida. Chiudo gli occhi e infilo la mano nel mucchio: la sorte ha scelto Gonna Do My Best To Love You di Brian & Brenda (Mca, 1976). "Non li mischiare, eh?" dice Baldelli un po allarmato. Nelle casse si diffonde il classico suono della "disco", quella funky e piacevolmente anacquata che era la vera ossatura del genere, quella che ti riporta con la memoria alle improbabili scene "di clubbing" di tante pellicole della classica commedia allitaliana scollacciata di fine anni Settanta. Finito il soundcheck è tempo di un giro turistico sullonda dei ricordi. "La Baia è stato il primo locale illuminato a giorno dalle luci e nel quale non si suonavano i lenti" ricorda Baldelli. "Fu il primo locale a tenere aperto fino alle sei di mattina. Quando i locali di Gabicce chiudevano, verso le due o le tre, in molti tra noi che ci lavoravamo venivamo quassù a finire la serata. Era un posto magico: tutto in cemento bianco, illuminato da una batteria di fari che si spostavano su un braccio meccanico. Le poltrone erano delle semplici intelaiature tubolari in metallo con grandi cuscini bianchi. Tutto era bianco alla Baia. La Baia larredavi con le luci: cambiavano le luci ed era come se cambiasse larredamento. La consolle del dj era montata su questo ascensore che saliva e scendeva continuamente, dalla pista accanto alla piscina alla pista grande al livello terra. La stessa consolle mandava la musica in quattro sale diverse! Allinterno cera una catacomba con unaltra piscina, più piccola, sovrastata da passerelle in vetro sulle quali la gente poteva ballare. In alto, sopra tutto, una ruota tipo quelle dei luna park girava come fosse un sole che sorgeva e tramontava in continuazione, irradiando una luce sempre diversa attorno a sé. Cera unattenzione maniacale ai dettagli coreografici: una volta costruimmo un gigantesco sudario con il volto di Marylin Monroe tenuto su da quattrocento palloncini. Al culmine della serata lo liberammo in aria mentre i fari lo seguivano fino a che era ancora visibile su in cielo...". Oggi è tutta unaltra cosa. La riapertura nel 1985 e la trasformazione in Baia Imperiale ha segnato lavvento di uno stile-disneyland le cui tracce sono più che mai evidenti - oggi - nelle finte colonne "in stile", negli arredi in tessuto leopardato, nel trionfo del nero e porpora, nelle aquile (vagamente littorie) in cartapesta, nei busti di simil-imperatori romani e soprattutto nelle gigantesche e spaventose bottiglie gonfiabili della birra sponsor collocate un po dovunque - anche in braccio al povero Tritone in cartongesso che accoglie i visitatori al centro della scalinata dingresso. Unica traccia dei gloriosi trascorsi pre-cafoni, lo stilizzato angioletto al neon che era il logo della Baia dei tempi che furono: adesso è appeso al muro di una specie di caverna nella quale si suona il rock-metal, accanto allingresso dei bagni (che coerentemente al resto sono indicati come "vespasiani"). Di nuovo in furgone, diretti verso il lungomare alla ricerca di una piadina prima che scatti lora "x". "Il primo Remember Baia degli Angeli labbiamo fatto nel 1999" racconta Baldelli. "Da allora è diventato una consuetudine, sempre il terzo sabato di giugno. Cè gente che arriva anche dallAustria, che organizza pullman, che prenota interi alberghi". Già, ma come è avvenuto lincontro tra Baldelli e la Baia? "Tutto merito di Bob e Tom i due dj americani: sono stati loro a fare il mio nome al proprietario della Baia quando nel 77 hanno deciso di tornare in America. Un pomeriggio mi hanno sentito suonare nel posto dove lavoravo, il Tabù - io allepoca li andavo a sentire, ma non li conoscevo personalmente - e insomma a un certo punto sono stati loro a venire in consolle a farmi i complimenti! Poi mi dicono "ma perchè non metti una copertina di quarantacinque giri sul piatto, sotto al disco? Così è più facile mixare" Io allepoca nemeno mi sognavo di mixare: lavoravo con dei Lenco senza variatore di velocità, e non toglievo nemmeno lappoggio di gomma dal piatto del giradischi. Comunque mi invitano alla Baia, e quando alla fine dellestate se ne vanno io subentro a loro insieme a Mozart - che era il dj del New Jimmy, sempre qui in zona, e che già conoscevo perchè era più giovane di me e sin da ragazzino veniva a ballare nei locali dove io mettevo i dischi". Volano i due anni di Baia Degli Angeli, volano i dischi: "per tutti e due gli anni come disco finale ho suonato il Bolero di Ravel, loriginale, che durava diciotto minuti, e ci suonavo sopra effetti presi da dischi dei Pink Floyd, il violino di Jean Luc Ponty, i Goblin...". Lambient dieci anni prima dellambient, praticamente. Ma il gioco finisce. Nel 1978 la Baia chiude per questioni di droga. I documenti dellepoca, racconta Baldelli, riportano addirittura tra le ragioni della chiusura il fatto che la Baia "con il suo stesso esistere istiga i giovani al consumo della droga". Pochi mesi, e per Baldelli comincia una nuova avventura. "Nel 1979 mi chiamano al Cosmic di Lazise, sul Lago di Garda, dove rimarrò fino al 1984. Il Cosmic era un locale nuovo, molto attento alla moda: lingresso era un lungo tunnel buio, la pista era fatta a quadrati luminosi come quella del film La febbre del sabato sera, cerano neon sul soffitto e colonne ricoperte di luci intermittenti che davano limpressione di un ascensore in continuo movimento. Non cerano posti a sedere: era un locale da 1.000 persone con una pista che ne poteva tenere 700. Ad arrivarci in auto, al buio, te lo trovavi improvvisamente di fronte che sembrava proprio unastronave. Il proprietario gestiva anche due boutique di Fiorucci, una a Torri del Benaco ed una vicino a Verona, e per scelta decise che non si sarebbero serviti alcolici: il primo anno non cera nemmeno la birra. Il nome Cosmic mi ha ispirato a suonare cose un po più dilatate di quelle funky e disco che suonavo alla Baia. Dopo un anno avevo ormai imposto un mio stile: suonavo il quarantacinque di Enola Gay degli OMD a 33 giri, mettevo gli album delletichetta tedesca Sky - che faceva elettronica sperimentale - a 45 giri, oppure uno strumentale dei Simple Minds con sopra le percussioni di Trilok Gurtu". Era lo stile eclettico e super-contaminato che poco tempo dopo si sarebbe affermato in tutta la costa Est italiana (ed anche in Austria e Germania) con il nome di "afro": anche se Baldelli è convinto che "afro è un nome che non corrisponde a nulla di reale, aveva più a che fare con il "movimento" che si è creato a partire dal 1981 che non con la musica. Ad una nostra serata si poteva ascoltare da Mike Oldfield a Jorge Ben: e poi, certo, capitava anche di suonare Fela Kuti o gli Osibisa. Ma la cosa più interessante era lassoluta libertà con la quale sceglievamo la musica da suonare". Sono le undici e mezza di sera, è scattata lora "x". Baldelli gira nervosamente da una sala allaltra della Baia per gli ultimi accordi e gli ultimi ritocchi. Lui e Mozart si alterneranno nella sala principale - la cui musica sarà diffusa anche nel dancefloor accanto alla piscina - mentre nelle rimanenti due sale ci sarà come di consueto il rock-metal e la "commerciale". Poco più di mezzora, appena il tempo per Baldelli di prendere posto in consolle, e i primi fan cominciano una processione che durerà tutta la notte. "Suonerai gli stessi dischi che hai suonato tre anni fa?" chiede una giovane signora dallaccento veneto, "è stata una serata bellissima!". Ce nè un altro arrivato dritto dritto da Insbruck: ha 26 anni, nella vita fa il grafico ed è stato folgorato sulla via di Baldelli alletà di 16. Lo ama al punto da averlo chiamato per ben cinque volte a casa sua, negli anni passati, per mettere i dischi alla sua festa di compleanno. Le casse diffondono una disco molto morbida, "downtempo" si direbbe oggi. È un nastro "di apertura" che Baldelli ha preparato nei giorni scorsi: qualcuno sulla piccola pista rotonda sopraelevata al centro della sala già accenna qualche passo a tempo con la musica. Baldelli si rammarica di aver dimenticato a casa il leggio. Il leggio? "Lo scorso anno avevo messo un leggio davati alla consolle", dice: "ogni volta che suonavo un disco appoggiavo la sua copertina sul leggio, così che tutti potessero vedere cosera", ed evitando in questo modo il prevedibile stillicidio di collezionisti di titoli e numeri di catalogo, certo. Non tutti sono trainspotter, però: anzi la maggior parte sono come questo giovane avvocato modenese, semplici fan desiderosi solo di stringergli la mano e augurargli "buona serata: ti seguo sempre!". Mezzanotte e quarantacinque in punto. La sala ormai è piena. Baldelli ha già da un po infilato lo spinotto della cuffia nel mixer, e sta vaschettando nelle sue quattro flying-case di dischi. Eccolo, il disco che segnerà ufficialmente lapertura della serata. Sono le cinque note di Incontri Ravvicinati del Terzo Tipo su una base vagamente electro. Vien quasi da leggerlo come una sorta di messaggio subliminale: "noi non siamo soli". È vero, non siamo soli, siamo decine, centinaia, forse milioni. E siamo qui, a rivivere un passato che poche altre volte ci è sembrato "presente" come oggi. La gente scatta foto. Incontri Ravvicinati lascia il posto ad una traccia piena di chitarre funky che friggono e percussioni che pestano (Idris Muhammad, da un album del 1977 intitolato Turn This Mutha Out), e dopo ancora ad una voce in falsetto che ripete allinfinito "Dont stop the music" sopra una base funky talmente elettronica da sembrare quasi techno. Stacchi orchestrali che arrivano dritti dentro le gambe. La gente urla: i più scalmanati sono due antichi fricchettoni in mimetica ed anfibi, e una piccola colonia di bionde ossigenate davvero irresistibili. Si segnalano anche un paio di cafetani e barbe degne di una convention di talebani. Il caldo è quasi metafisico. Arriva Mozart, del quale la prima cosa a colpire è la somiglianza con il comico Corrado Guzzanti. Previdente, lantico socio di Baldelli si è portato un piccolo preziosissimo ventilatore portatile. La quantità di dischi in consolle è ormai degna di una fiera del vinile. Mozart apre la sua borsa: i suoi dischi sono tutti incasinati ed a fatica coperti da copertine ormai lacerate dal tempo, dalluso e da qualunque condizione atmosferica. Si intravedono astronavi, capigliature afro e copertine "generiche" della Salsoul e della T.K.Disco. Baldelli suona Dance a Little Bit Closer di Charo & the Salsoul Orchestra, delicatissima crosta disco racchiusa dentro una copertina su cui spicca una simil-Amanda Lear - Charo, appunto - sopra uno sfondo acquamarina da cartolina. Nata come chitarrista di flamenco, Charo sarebbe divenuta famosa anni dopo come ospite ricorrente allinterno della serie tv The Love Boat. Baldelli è abbastanza "duro" nel mixare, ma preciso. Non "accompagna" lingresso di ogni nuovo disco, è più come se lo lanciasse da una rampa per poi lasciarlo al suo destino. Ecco un paio di pezzi più conosciuti: Do The Bus Stop, Doctor Love... cascate di archi come pioggia argentata, come una notte a Broadway. Viene da immaginarsi le decine di centinaia di persone, di turnisti, di strumentisti che hanno "realmente" suonato in tutti i dischi che stiamo ascoltando questa notte. I titoli di coda, se ci fossero, prenderebbero tanto tempo quanto la serata vera e propria. Ecco un remake disco del tema di M.A.S.H., Suicide Is Painless. La Baia è attraversata da un brivido di freddo: la festa è finita, anzi no, la festa continua. Sale in consolle Mozart: il suo primo vinile è un classico della disco post-punk dei primi Ottanta, Wake Up (and Make Love With Me) di Ian Dury. E meno "disco" di Baldelli, più funk. Le canzoni che sceglie sono puntaggiate di frasi che parlano di amore universale, di eguaglianza, con una fede ed una fiducia non ancora scalfitte dal cinismo cosmico e dal pessimismo dei decenni successivi. Lora tarda confonde i pezzi luno nellaltro: riconosco Galaxy dei War ed un paio di altri classici. Quando unora e mezza più tardi Baldelli ritorna ai piatti per unultima sequenza di dischi, la trasformazione della Baia Imperiale in Baia Degli Angeli è ormai fatto compiuto. Un negoziante di ferramenta dagli occhi spiritati, venuto fin qui da Torino, è felice come se avesse vinto alla lotteria: "a Baldelli gli puoi mettere attorno una cornice: è unopera darte!". Con involontario ma perfetto tempismo, esattamente in questistante e su questa frase parte You Should Be Dancing dei Bee Gees. Proprio quella da La febbre del sabato sera: forse lunica concessione "popolare" dellintera serata. Ma ascoltata qui - a questora, in questo contesto, a questo volume, in mezzo ad alcune centinaia di persone che ballano come fosse il 1977 - sembra davvero la canzone più perfetta, appropriata, calzante e (soprattutto) meravigliosa mai ascoltata prima. Un momento che sembra durare uneternità, o almeno altri venticinque anni. Saluto Baldelli. Lui, concentratissimo, mi rivolge appena un breve sorriso. I Bee Gees stanno ancora cantando: "la mia baby si muove a mezzanotte/e tira dritto fino allalba/la mia baby mi porta più in alto/la mia baby mi tiene caldo". Scendo la scalinata dingresso cercando di ignorare i lamenti del povero Tritone di cartapesta per quella specie di canotto gonfiabile che gli hanno infilzato tra le braccia. Ma la Memoria, quella almeno è salva. Per un altro anno ancora, fino al prossimo solstizio destate, ci sarà qualcuno che ricorderà la Baia Degli Angeli. (da: Mamma, mamma, voglio fare il DJ., Arcanalibri 2004) |
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