Ameitinégfanclebnonsonomaipiaciuti. Ecco, l’ho detto. Però anziché sussurrarlo ieri sera per un attimo ho pensato di gridarlo a voce alta. Magari sarebbe finito come alle riunioni degli alcolisti anonimi: una volta “catalizzato” il problema (o il comportamento deviante) qualcun altro si sarebbe alzato e avrebbe detto «però, in effetti, anch’io». Oppure mi avrebbero cacciato con ignomignia e interdetto l’accesso al Rainbow per i prossimi tre anni. Ora però non cercate di convincermi. Lo so benissimo che è un problema mio. Non riempitemi i commenti qui sotto di «ma qui, ma là, ma almeno Hang On, ma almeno Neil Jung» perchè lo so, lo so perfettamente quello che valgono, non sono mica scemo, e vorrei foste dentro la mia testa per capire quanto abbia sempre silenziosamente, solitariamente, devastantemente sofferto a causa della consapevolezza di non aver amato le loro canzoni quanto all’epoca amai - per dire - This Is How It Feels degli Inspiral Carpets.
Insomma, ieri sera ci sono andato soprattutto per mettermi alla prova, per vedere se - butta caso - gli anni trascorsi, la maturità, i gusti che si affinano e blah blah blah non mi avessero per caso riavvicinato ai quattro scozzesi. Macchè. In mezzo a quel conciliabolo di vecchiazze da platea ognuna ripetente il proprio murphyano I was there («I was there when Bandwagonesque was released the first time round», «I was there when they played Glastonbury») io rimanevo l’unico che there c’era pure stato, ai tempi, ma allora come adesso sarebbe tanto voluto essere altrove. Pure loro, comunque: son passati cent’anni e sembrano sempre, eternamente un gruppo “sul punto di”: sul punto di diventare qualcuno, sul punto di imboccare una qualsiasi direzione, sul punto di scrivere una canzone che io riesca a ricordarmi dopo averla finita di sentitre. Invece tutto rimane eterna promessa: appena una canzone rischia di prendere una direzione, fosse anche solo un assolo un po’ più di spessore, un accenno di muretto del suono, loro - brrr, che spavento! - si ritirano in buon ordine con un imbarazzato sorriso stampato in faccia.
A me è questo che fa impazzire: perché di gruppi che del loro essere leggerini hanno fatto la propria cifra stilistica ne ho pieno lo scaffale degli ellepì (basti come salvacondotto l’intera discografia della éL Records). Ma qui siamo oltre la leggerezza. Siamo proprio da un'altra parte, e questo è un format diabolico: il jingle-jangle come difesa dal mettersi in gioco, dalle proprie stesse ambizioni, dalle responsabilità adulte. (PS: i pezzi colla tastierina non sono male, comunque...)
OFF TOPIC. Domenica sera - cioè domani - con i soliti Roccaforte e de Gennaro tra le 23 e le 02 si mettono i dischi ai Magazzini Generali di Milano. È una sorta di festa privata “allargata”. Se siete pubblicitari milanesi probabilmente avete già l’invito. Se invece non siete pubblicitari milanesi ma ci tenete a provare l’inebriante esperienza di vedere i pubblicitari milanesi che si divertono, lasciate nome e in quanti siete nei commenti qui sotto o alla posta del blogghetto, e noi vi si mette in lista. |
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