“And you we can dance, for inspiration” (aka: breve cronaca dall’ascolto del nuovo album di Jacques Lu Cont featuring la Cantante Platinata) «Aveva ragione il Sun» è una di quelle frasi che mai e poi mai uno penserebbe di pronunciare nella vita. Invece, aveva ragione il Sun. Aveva ragione più o meno su tutto: nell’entusiasmarsi, nello spendere paroloni e soprattutto nel trovare una mezza dozzina di reference points ai limiti del plagio sparsi qua e là per il disco. Che poi, volendo, di reference points se ne trovano ancora di più (gli arpeggi in stile Chime degli Orbital dentro Get Together, I Wanna Be Your Dog degli Stooges in I Love New York, un vago sentore di Blue Monday dei New Order in testa a Let It Will Be Me, svariati blackstrobeismi e bangalterismi in Jump, Ofra Haza campionata dai Coldcut per Isaac, una citazione di I Heard It Through The Grapevine non ricordo dove e di Every Breath You Take in Push).
La base ormai unanimemente riconosciuta da cui partire per interpretare Confessions On a Dancefloor dunque è: si tratta di un disco che utilizza le metodolgie di taglia-e-cuci, di furto con destrezza e di bricolage tecnologico consolidate negli ultimi dieci anni dalla dj-culture (cfr: Ulf Poschardt). In questo senso Confessions è un disco che suona persino epocale, definitivo nel suo chiudere per sempre un’epoca - quella del grande clubbing di massa fine ‘90 - nel momento stesso in cui la celebra.
Fare un disco rock-oriented (come peraltro era circolata voce la scorsa primavera) sarebbe stata - in questo momento - una mossa sicuramente più alla moda, più interessante dal punto di vista semantico, e non è escluso che la Cantante Platinata non ne avrebbe (circondandosi, chessò, dei Death From Above 1979 al posto di Jacques Lu Cont e di Jon Spencer in luogo di Mirwais) tirato fuori qualcosa di sensato. Fare un disco “dance” come questo è un passo indietro in termini di linguaggio, ma molto interessante e sicuramente più azzeccato se pensiamo a come chiude un cerchio tutto “interno” alla vicenda umana ed artistica della Cantante Platinata (che debuttò nella New York a cavallo tra Studio 54 e Paradise Garage grazie ai buoni servigi del fidanzato dell’epoca, un John “Jellybean” Benitez all’epoca voce grossa dei dancefloor newyorkesi), ed a come contiene già, nel proprio DNA, quelle componenti di “nostalgia” che sono - oggi - alla base di qualunque operazione di successo.
UPDATE. Popjustice intervista Jacques Lu Cont circa il lavoro con la cantante platinata. Non esattamente il tipo di intervista che passerà alla storia del giornalismo, probabilmente, ma i fan apprezzeranno. |
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