Immagino che il fatto di aver modulato un urletto all’atto dell’apertura del mini-cofanetto degli Stereolab, scoprendo che dentro - oltre ai tre cd e al dvd regolamentari (che poi: ancora non mi capacito che tutto ’sto bendiddio costi solo ventun euri, quotazione di Disfunzioni Musicali stamattina a Roma) - c’erano anche gli adesivi, insomma, immagino che aver modulato l’urletto faccia di me una specie di miserabile feticista.
Poco male, il dvd varrebbe da solo pure il doppio della spesa: i videclip (visti poco o nulla in tv), splendidamente poveristici, sembrano tutti un mash-up di La decima vittima di Petri e un dietro le quinte di Star Trek, e lo sguardo da pesci in barile sfoggiato dai Nostri in occasioni delle due esibizioni televisive qui incluse (The Word su Channel 4 e Later With Jools Holland sulla BBC) è bello e snob e talmente indie che al cospetto Belle & Sebastian quasi sembrerebbero i Queen.
Con l’occasione annuncio ufficialmente di aver fatto pace con gli Stereolab: che ho molto amato, in passato, ma che da un certo punto in avanti ho avvertito tragicamente inadeguati a rappresentare la contemporaneità. Come se il trucco di congelare il tempo usando quei linguaggi che erano serviti trent’anni prima a immaginare il Futuro avesse smesso di funzionare, il futuro si fosse di colpo scongelato e fosse apparso in tutta la sua inquietante assenza di prospettive. Come se la loro nostalgia statutaria per un “futuro ideale” (in luogo di un più consueto passato ideale) si fosse rivelata per quello che era: nostalgia, appunto, e dunque immobilismo, “coazione ad attendere”. (E aggiungeteci che da un lato tutto il versante “pop” delle loro intuizioni era ormai caduto nelle mani di feroci banalizzatori alla Stereo Total, dall’altro era crollata una delle pareti che teneva in piedi il loro allure, cioè il fatto che nessuno o quasi, di noi che li adoravamo, si era mai preso la briga di ascoltare sul serio i Can: una volta fatto, capisci molte cose).
Il loro è stato il no future più definitivo che si sia mai visto, perchè mascherato da futuro e da entusiasmo per il futuro stesso, e proprio per questo ciò che affascina dell’economico (ed ergonomico) cofanotto è il suo essere quasi una sorta di statua, quasi un monito al fatto che il tempo non lo si inganna e non lo si può sconfiggere. |
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